mercoledì 6 luglio 2011

DE ANDRE MUORE PER LA SECONDA VOLTA....



A malincuore mi ritrovo a tarda sera a scrivere questo articolo. Sì! A malincuore perchè il vero obiettivo di chi ha scritto certe scempiaggini è proprio questo cioè “che se ne parli”. Purtroppo ormai la bomba pubblicitaria è scoppiata e non posso tirarmi indietro per fare un po’ di chiarezza.
Questo mese il numero di Rolling Stone Italia dedica la copertina a Fabrizio De Andrécon il titolo: «De André giù dall’altare». Fiumi d’inchiostro per descrivere la vita privata sregolata e piena di contraddizioni di Faber con l’intento di screditare la sua “presunta” immagine di santo. Immagine che dicono avergli appiccicata (da chi?) post mortem. Non so voi ma far passare come scoop il fatto che De André fumasse come un turco e avesse un problema con l’alcool mi pare giornalisticamente disonesto e non giustifica una cover story.
Se Fabrizio si ritrova su un qualche altare è sicuramente per motivi artistici non di certo per la sua vita privata. Senza scomodare il decalogo di Oscar Wilde basta dare un’occhiata alla storia del rock per poter osservare come geni assoluti abbiano avuto esistenze burrascose.
A rincarare la dose arriva specularmente il titolo de Il Giornale: «La bibbia della musica distrugge De André». Sciorinando teorie strampalate e clichè come l’eterno dualismo con Battisti (insomma roba seria da critici professionisti). Non si risparmiano perle dove si contraddicono le stesse premesse poste tipo: «Tralasciando i tratti personali di un carattere difficile (De André era misantropo e misogino, arrogante, altezzoso, alcolista, talvolta violento, spesso depresso) è proprio sul musicista che Rolling Stone – si tratta pur sempre di una rivista rock – punta il dito. Citando molte fonti ormai dimenticate.» Ad esempio un’intervista del 1978 all’Unità: «Sono un piccolo borghese e faccio canzoni solo per guadagnare»E stucchevoli argomentazioni di critica musicale: «Musicalmente fu un po’ – come dire – piccolo borghese».
Insomma nessuno ha il coraggio di criticare l’opera e la coerenza artistica di De André, oggettivamente ricca e articolata, quindi giù di giudizi morali e pettegolezzi sulla sua vita privata. Fabrizio non racimulava i voti con i family day e non pretendeva di essere un santo anzi come ha dichiarato Dori Ghezzi: «Era sicuramente più cazzaro che santo». Rimane attuale e innegabile l’eredità artistica (cioè quello che conta per un autore): un lirismo inarrivabile e una straordinaria, coraggiosa ricerca compositiva.
Stefano Di Mario


FONTE   TOYLET .IT


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